I campi profughi sono insediamenti solitamente situati in zone isolate ai margini fisici e culturali del mondo, sono luoghi di abbandono. Sono dispositivi impressionanti che crescono a un ritmo inconcepibile; sono città “istantanee” e “improvvise” per la loro natura imprevedibile e “definitivamente temporanea”.
Nella realizzazione dei campi profughi, finora la griglia cartesiana di isolati e strade è stata l’unica strategia messa in atto, poiché garantisce perfettamente gli standard di sicurezza e l’accessibilità. In questo approccio, gli aspetti architettonici del campo sono spesso trascurati, come la qualità dello spazio, le aree verdi e gli spazi pubblici. La griglia porta alla ripetizione alienante dello stesso modulo, rendendo estremamente difficile orientarsi e trovare la propria casa.
I punti di riferimento, gli hotspot, la variabilità architettonica e la possibilità per gli abitanti di costruire i propri luoghi, sono gli elementi che trasformano un insediamento in una città.
Il campo è sempre stato uno “spazio di eccezione” umano, politico e spaziale, secondo la definizione di Agamben. Come restituire allora ai rifugiati quel livello di dignità che li libera dal limbo eterno della loro transizione “eccezionale”? I rifugiati sono “nuda vita” che resiste, radici senza terra. Nonostante la loro condizione, portano con sé il seme di una potenziale rinascita attraverso la quale possono ristabilire la loro esistenza come uomini e collettività. Per farli sentire a casa, è necessario fornire il terreno dove possano piantare questo seme e farlo germogliare.
Il principio compositivo che ha guidato la progettazione è quello del Rizoma.
In botanica, il rizoma è quella parte della pianta che la fa riprodurre anche in condizioni sfavorevoli: un concentrato di esistenza resiliente. Partendo da questa metafora, il campo comincia a prendere forma come una nuova città vitale. Partendo dall’approccio teorico di Deleuze e Guattari, uno spazio rizomatico si basa sia sull’eterogeneità degli elementi che sulle iperconnessioni tra luoghi e persone.
La nuova città rizomatica è acentrica e quindi non ha nemmeno un confine. Se non c’è centro non c’è periferia, né dentro né fuori: solo coesistenza di spazio. Infatti, i muri perimetrali del campo vengono decostruiti fisicamente e simbolicamente attraverso uno “spazio cuscinetto” che, con un gradiente di funzioni pubbliche e collettive, media il passaggio dal contesto esistente al nuovo insediamento, favorendo l’integrazione tra comunità ospitante e rifugiati.
Date queste caratteristiche, l’insediamento è in grado di contrarsi o espandersi a seconda delle esigenze grazie alla ridondanza dei principali elementi formali e tecnologici: l’insediamento non presenta un polo principale in quanto è concepito come una rete non gerarchica. Il progetto permette di costruire una città con facilità, in tempi brevi e in maniera economicamente sostenibile.
Il progetto intende promuovere un’integrazione sociale e culturale dei rifugiati costruendo spazi pubblici e servizi che possano servire sia all’insediamento che alla città vicino alla quale sorge. Il campo profughi diventa un dispositivo per la rivitalizzazione di aree urbane che hanno bisogno di servizi e infrastrutture migliori.
Crediamo fermamente che qualsiasi integrazione sociale debba passare prima attraverso l’integrazione spaziale. Immaginando l’insediamento come la città del futuro, proponiamo strategie tecnologiche che lo rendono completamente ecosostenibile. L’insediamento non solo è energeticamente autosufficiente, ma produce anche energia addizionale che viene consegnata alla rete cittadina.
Le imprese private, le industrie e le fabbriche sono spinte a spostare la loro attività in appositi capannoni nell’insediamento perché non pagherebbero gli affitti o l’elettricità (presa dalla rete), portando così mercato e investimenti privati nel campo, creando opportunità di lavoro, stimolando l’integrazione e facendo crescere l’insediamento.
Dal punto di vista spaziale, l’insediamento così concepito è già una Città, poiché il disegno si presenta come un progetto di relazioni che esprimono qualità urbana piuttosto che il disegno di “oggetti singoli”. In questo modo, la città del futuro – qualunque forma avrà – potrà costruirsi e riprodursi a partire dal campo anche in forme diverse, ma contando sulle tracce originali lasciate dalla forma del campo.
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